mercoledì 27 maggio 2009
Ugo La Pietra_L'architettura radicale
di Ugo La Pietra
Al di fuori del sistema, dai primi anni '60 ad oggi, si sono avvicendate nell’architettura e nel design una serie di esperienze per molto tempo ignorate, quindi rivalutate e solo verso la fine degli anni '80 consacrate alla storia come "Architettura Radicale".
Per una serie di motivi che per semplicità chiamerò "egoistici", un gruppo di autori operanti a Firenze (vedi Pettena, Branzi, Natalini, Ufo, 999) hanno più volte e in diverse occasioni (libri, articoli, mostre) fatto iniziare questo movimento dopo la seconda metà degli anni '60: di fatto con l’inizio delle loro attività di ricerca e di progettazione.
Personalmente, già nel 1960 progettavo interventi urbani e architetture in parte ispirate a Frederick Kiesler (vedi la Casa dello Scultore Carmelo Cappello, 1961)[1] che mi fu facile confrontare con opere degli stessi anni di Hollein, Abraham, pubblicate nel libro "Architettura Radicale" di Navone e Orlandoni[2] e precedentemente in alcuni articoli di Domus.
Alla fine degli anni '50 mi consideravo vicino all’architettura brutalista di Vittoriano Viganò e a Lucio Fontana come pittore del "segno" (è del 1962 la nascita del gruppo di pittori segnici del Cenobio: Ettore Sordini, Agostino Ferrari, Arturo Vermi, Angelo Verga, Ugo La Pietra)[3]e già nei primi anni '60 con Alberto Seassaro elaboravo la teoria della “Sinestesia tra le arti”.
Queste e altre esperienze, come l’introduzione nelle mie opere (a scala dell’oggetto e a scala urbana) dell’“effetto randomico” per finire alla formulazione della “Teoria del Sistema Disequilibrante” mi collocano chiaramente come estraneo alle esperienze, dei gruppi fiorentini e dello stesso Ettore Sottsass, della seconda metà degli anni '60.
Di fatto, solo tra il 1966 e il 1967 conobbi alcuni autori fiorentini, soprattutto durante la Triennale del 1968, quando gli Archizoom si presentarono con un loro ambiente ed io realizzai l’ambiente audiovisivo "Caschi sonori".
In quegli anni le mie esperienze erano già maturate in un clima più europeo e, attraverso alcune pubblicazioni di Architecture d’Aujoudhi e Domus, mi sentivo vicino agli Haus-Ruker, alla Coop. Himmelblau, ad Hollein e Pickler; erano, questi, giovani artisti-architetti che operavano tutti alla trasformazione degli strumenti e dei metodi progettuali, una trasformazione radicale attraverso atteggiamenti geniali e provocatori, tutti tesi alla ricerca di modi per migliorare la qualità della vita nel rapporto individuo-ambiente.
Trovavo forti relazioni tra il mio lavoro e la cultura viennese, più che con quella fiorentina (nata all’ombra del maestro Ettore Sottsass con chiare influenze derivate dalla Pop-art), avendo già da alcuni anni, attraverso le varie correnti artistiche dei primi anni '60, combattuto la crescita della Pop-art che andava "colonizzando" dall’America la nostra realtà artistica.
Le mie matrici estetiche infatti, come ho già accennato, si fondavano nella pittura di Fontana e nella scultura di Milani e maturarono nella seconda metà degli anni '60 attraverso esperienze "concettuali". A queste matrici bisognerebbe aggiungere una serie di idee che assorbii proprio in quegli anni da alcuni scritti dell’Internazionale Situazionista ed un clima ormai maturo di contestazione (la mia prima occupazione nella Facoltà di Architettura risale al 1963).
Una formazione, quindi, del tutto diversa da quella dei gruppi fiorentini, che si fece conoscere dopo e con evidenti riferimenti non tanto all’arte concettuale quanto alla cultura Pop influenzata da Ettore Sottsass con il suo mondo a metà strada tra l’undeground statunitense e il recupero di certa cultura orientale.
E’ per questo motivo che spesso e volentieri "i Fiorentini" hanno fatto nascere l’Architettura Radicale italiana da Sottsass e dalle loro esperienze, dimenticando tutte le ricerche europee che si svilupparono non solo prima delle loro attività ma anche in una direzione più politicizzata, meno utopica, più direttamente provocatoria (Haus Rucker), decisamente concettuale (B. Tschumi, Saz Der Erde), molto più vicina a certe correnti artistiche di quegli anni (Pickler, Einz Franc, Hollein...) Malgrado queste profonde differenze, avevamo qualcosa in comune e questo li portò i vari gruppi in tempi brevi a partecipare e contribuire alla crescita della rivista IN (Argomenti e immagini di Design, 1971).
Quando, nel 1970, Paolo Scheggi mi chiese di far parte della redazione di IN (una nuova rivista di design che stava prendendo forma in quella stagione) io recuperai tutte le mie conoscenze, le mie passioni e i miei interessi e li riversai in questa nuova impresa. Così, attraverso il mio lavoro, prima come caporedattore poi come co-direttore, nella rivista IN (presto dimenticata a favore del ruolo che successivamente ebbe la rivista Casabella, diretta da Alessandro Mendini), penso sia nata, in una serie di operatori, la consapevolezza di far parte di un’unica area culturale.
IN dovrebbe passare alla storia come la prima rivista che si occupò in modo esauriente e per la prima volta di quest’area progettuale successivamente definita radicale, non come luogo in cui venivano registrate le varie esperienze internazionali, ma soprattutto come strumento di stimolo individuale e di gruppo.
Con numeri monografici in cui veniva richiesto ai vari autori di sviluppare teoricamente e progettualmente il proprio pensiero e successivamente con la mia direzione della rivista IN PIU’, è possibile ripercorrere le tappe evolutive dei vari autori, da Sottsass ai Libidarch, da Hollein a Salz der Herde.
Per troppi anni l’Architettura Radicale venne vista come un’area di attività e di ricerca più vicina all’utopia che non ai problemi reali (vedi il libro sulla storia del design di Vittorio Gregotti).
Ma una più attenta lettura di questa corrente progettuale, iniziata soprattutto in questi ultimi anni, sta dando molte sorprese. Molte furono le proposte e i suggerimenti per come intervenire nell’ambiente urbano; certamente non si progettavano oggetti di serie, poichè avrebbero rappresentato un’adesione al "sistema consumistico" che veniva teoricamente e praticamente osteggiato dall’ "architetto radicale". Tutto questo non portò quindi ad una vera produzione di oggetti ma a "strumenti" di conoscenza, di decodificazione, di provocazione.
Già nel 1972 su IN venivano indicate le teorie di C. Jencks sull’ "Adochismo" che anticipavano di molto tutta la cultura post-moderna e prima ancora del 1968 le mie teorie, i miei "strumenti" e le mie installazioni (vedi le "immersioni") dimostravano chiaramente il fatto di aver preso coscienza che "lo spazio in cui si viveva e si operava era la descrizione fisica del potere", ponendomi così in un atteggiamento critico nei confronti del sistema.
In questa situazione di attesa, rispetto ad una posizione di fattuale operatività, va ricordato che riuscii comunque ad operare, naturalmente con interventi che non rispondevano alla logica del sistema: la mia azione fu quella soprattutto di "disequilibrare". Disequilibrare, mediante l’analisi e la verifica delle situazioni ambientali e sociali in cui mi trovavo a vivere e operare, con una fisicità critica (distante da certe posizioni di utopia critica) intesa come strumento disvelatore delle situazioni in cui l’utilità e l’abitudine avevano creato strutture di comportamento molto rigide). Nacquero così progetti allusivi, interventi, azioni ma soprattutto un recupero di forze progettuali fino a quel tempo sconosciute come: il comportamento (l’uso del corpo), l’effimero (occupazione dello spazio, la trasgressione), la citazione (l’uso di materiali formali recuperati dalla storia, da altre culture periferiche e marginali).
Questi nuovi atteggiamenti contribuirono a sviluppare nel mio lavoro e nei lavori di altri autori una vasta ricognizione sui mezzi di espressione: il disegno, l’immagine fotografica, il videotape, il cinema, le installazioni, le perfomance e altri mezzi di espressione non furono quindi strumenti per la rappresentazione del progetto da realizzare ma costituirono momenti autonomi e "finiti" al pari del "costruito".
Ed è in nome di questo atteggiamento "aperto" che la mia ricerca negli anni '60 si arricchì di diverse esperienze, basterebbe ricordare: l’uso di nuovi materiali (attraverso la realizzazione di un laboratorio "artistico-artigianale" per la lavorazione del metacrilato), certi arredamenti dove mettevo a contatto diverse tipologie arredative (come la boutique "Altre Cose" con la discoteca "Bang Bang" a Milano), nuove tecnologie elettroniche (vedi l’uso del regolatore di intensità luminosa applicato per la prima volta nella lampada "globo tissurato" nel 1967, o il "luxofono" applicato agli ambienti audiovisivi presentati alla Galleria Toselli di Milano e nell’ambiente audiovisivo "Caschi Sonori" alla Triennale di Milano nel 1968), nuove tecnologie per l’architettura (vedi il padiglione per l’Expo di Osaka o i sistemi di prefabbricazione edilizia "Silicalcite", 1968-69), nuove tipologie di oggetti (vedi la libreria "Uno sull’altro" prodotta da Poggi, Pavia, 1968), nuove aree di esperienza e di ricerca nell’analisi sul territorio (vedi "Gradi di libertà" nelle periferie urbane, 1968-69), nuovi interventi estetici a scala urbana (vedi "Le Immersioni", "Campo Urbano" a Como, "Verso il Centro" a Milano).
La cosa curiosa e che dovrebbe far pensare è che molte esperienze che andavo presentando e che venivano accolte dall’interno del mondo dell’arte erano anche presenti a pieno diritto nel mondo dell’architettura, almeno di quell’area culturale che guardava con attenzione le esperienze di architettura radicale.
Tutto ciò ha un suo significato: sia l’arte che l’architettura in quegli anni rompevano con la tradizione e mettevano addirittura in crisi il mezzo tradizionale: la tela e la pittura per l’arte, il costruito per l’architettura.
In più le due discipline coltivavano contemporaneamente una tra le varie componenti che caratterizzano il progetto: la "concettualità", così molte esperienze dell’una venivano travasate nell’altra e viceversa.
E’ per questo che ancora negli anni '70 i miei film venivano proiettati sia nelle Facoltà di Architettura che nei Musei in mostre d’avanguardia, sotto la dizione "cinema d’artista".
E’ per questo motivo che oggi diventa difficile per i curatori delle mostre storiche presentare le esperienze di Architettura Radicale di quegli anni: di fatto la "concettualità" era nemica della "spettacolarità", così, spesso in modo improprio, oggi è più facile vedere in una retrospettiva dell’Architettura Radicale di quegli anni gli aspetti post-radicali di Alessandro Mendini piuttosto che i progetti di Picler.
Oltre al mio "Sistema Disequilibrante", diverse furono le esperienze che hanno di fatto arricchito il movimento di quegli anni: Superarchitettura per i primi progetti di Archizoom e Superstudio, Architettura Inconscia per i cataloghi di strade e paesaggi americani di Gianni Pettena, Architettura Eventuale per Almerico De Angelis, Architettura d’Animazione per i lavori di Riccardo Dalisi a Napoli, Urbanistica Vegetale per i progetti degli Street Farmers, Architettura Povera per le azioni dei Libidarch di Torino, Progettazione di Comportamento per gli UFO.
Tutte queste esperienze hanno cominciato a riemergere in alcune mostre, spesso viziate da parziali letture condizionate dal maggiore o minore "successo" che oggi alcuni protagonisti di allora hanno raggiunto. Ma a chi volesse veramente guardare con attenzione ciò che veramente era stato fatto, consiglio di rileggere i numeri di IN e IN PIU’, i bollettini della Global Tools, l’unica mostra di Design Radicale "Gli abiti dell’imperatore" (che organizzai alla Galleria Blu di Milano nel 1975, al Museum Johanneum di Graz e alla Galleria Zagreba di Zagabria) e qualche articolo d’epoca su Domus, Le Arti, Brera Flash, Fascicolo; per ora dobbiamo accontentarci di "storie dell’Architettura e del Design Radicale" truccate, rivedute e corrette, qualche volta purtroppo proprio da chi era stato testimone diretto di quei fatti.
venerdì 22 maggio 2009
giovedì 21 maggio 2009
Mappa architettura radicale
tratta da http://movimentieavanguardie.blogspot.com
martedì 19 maggio 2009
Brunetto De Batté
e rilettura con curiosità della fenomelogia culturale e
se ne ripropongono in continuità dei segnali di ripresa
in alcuni nuovi gruppi: Gruppo A12, Stalker, Cliostraat e Actiegroep....
(posso oggi aggiungere ...ma con una forma epidermica e strumentale...
ben altra cosa il rapporto con il sociale e la trasgressione disciplinare...)
Un periodo (pre ’68) che fermenta tra la Facoltà di
Firenze e la redazione di Casabella a Milano; a Firenze
erano presenti Battisti, Ricci, Savioli, Dezzi, Eco e Koenig
e si trovavano la maggior parte dei gruppi in formazione…
Adolfo Natalini, in una intervista, ricorda il lavoro del
gruppo dalle parabole mistico antropologiche:
“IL LAVORO DEL SUPER STUDIO ERA
FONDAMENTALMENTE UN LAVORO CRITICO SU
QUELLA CHE ERA LA SITUAZIONE ATTUALE. A METÀ
DEGLI ANNI 60 IL NOSTRO LAVORO È STATO SÌ UN
LAVORO CRITICO MA SOPRATTUTTO UN LAVORO
IN UNA SPECIE DI TERRA DI NESSUNO, CHE ERA
QUELLA CHE SI STENDEVA TRA L'ARTE E IL DESIGN,
TRA LA POLITICA E L'UTOPIA, TRA LA FILOSOFIA E
L'ANTROPOLOGIA, ERA UN TENTATIVO DI CRITICA
RADICALE E DA QUI FORSE IL NOME DI ARCHITETTURA
RADICALE, DI CRITICA RADICALE ALLA SOCIETÀ,
INTESA NON TANTO E COSÌ SEMPLICEMENTE COME
SOCIETÀ DEI CONSUMI, MA COME TUTTO IL CONTESTO
NEL QUALE CI TROVAVAMO A LAVORARE. E QUINDI È
STATO UN LAVORO - DICIAMO PURE - DI CARATTERE
DISTRUTTIVO, ERA UN LAVORO ABBASTANZA ACIDO.
ADESSO SE GUARDIAMO A QUELLE IMMAGINI COME
LE TROVIAMO NEI LIBRI, HANNO UN ASPETTO MOLTO
IRONICO, ALCUNE HANNO ANCHE UNA LORO
PARTICOLARE BELLEZZA"
"...EBBE ANCHE UNA RISONANZA A LIVELLO EUROPEO
MOLTO GROSSA, FINO AD ARRIVARE AD UNA SUA
SPECIE DI STATUS QUASI PLANETARIO, GLORIFICATO
UN PO' CON LA MOSTRA ‘ITALY THE NEW DOMESTIC
LANDSCAPE’ AL MOMA DI NEW YORK NEL ’72…”
Di solito emergono i due gruppi italiani gli Archizoom
(The Rolling Stone) e i Superstudio (The Beatles) ma
si dimentica il ruolo sostanziale tra partecipazione ed
invenzione del proletariato con Riccardo Dalisi a Napoli
Le ricognizioni urbane ed extraurbane degli UFO, le importanti
urboterapie di La Pietra (riproposte ultimamente anche da
Boeri), le letture dei Libidarch (fondamentali strumenti per
leggere le trasformazioni urbane), a queste si sommano le
operazioni politico spaziali degli Strum (un po’ tanto dimenticati)
le ricognizioni formali dei 9999 e degli Zziggurat, accanto ad
individualisti come Gianni Pettena (primo tra gli sperimentatori
di land art), Ettore Sottsass Jr., (il vecchio zio conoscitore
dell’underground USA), Gaetano Pesce, inventore dell’archeologia
del futuro, Remo Buti, Carlo Guenzi e Franco Raggi.
Se c’è un merito da dare è alla circostanza di un corso sui
Pipers a Firenze attivato da Leonardo Savioli che per due anni
anche con tesi di lauera diventò la fucina formativa d’incontro
di quel fermento poi definito “Architettura radicale”, un altro
merito và a Giovanni K. Koenig (il Lonfo) animatore e coltivatore
d’avanguardie, inoltre redatore capo con Enrico D. Bona a
Casabella del Mendini (culla élitaria dell’avanguardia).
E’ lì attraverso quella testata e soprattutto con la rubrica di
Andrea Branzi con le Radical Notes e le puntate a racconto
(ironie concettuali) di Sottsass si è formata nel tempo quell’idea
di una revisione della disciplina al progetto.
Così. prima o poi, si sono agganciati
Hollein. Abraham, Archigram, Site, Pichler, Studio 65, Paolozzi,
Stevens, Rucker-co, Utopie, Florian, Carlini, Ant farm,
Coop Himmelblau, Missing Link , Terzic, Mayr, Ryman, Merz,
Kriesche, Crivelli-De Manincor-Ponsi, Lesak, Gowan, Stret Farmer,
Knowles, Gottwald, Halprin,Wexler, Dallegret, Becher & Becher,
Koolhaas & Zenghelis, Eisenman, Peintner, Onyx, Gough, Samaras,
Smithson, Oldenburg
Ricordo le notti a Ponte Vecchio con performance e proiezioni,
gli UFO con i gonfiabili a San Clemente, in Piazza tra i cortei
studenteschi ed in sfilata al Carnevale di Viareggio…la battaglia
di verdure a fine spettacolo di mostra… le installazioni razional
orientali del Branzi nelle librerie... le adunate di Pettena…
Ricordo la formazione e battesimo dei giovani
con i Bodolisti poi Palterer, De Lucchi, Giovannoni Puppa, ed
altri ancora… raccolti poi in un censimento ideato da Eugenio
Battisti e archiviati con cura da Adriana Pulga e Ettore
Pasculli in “vivere architettando” ed. Comune di Milano-Mazzotta
1982. Ricordo volentieri quell’area febbrile del nuovo
dell’avanguardia, delle prime riviste a colori, del dibattito ovunque,
dell’occasione ovunque, di situazioni/performance ovunque…una
trasformazione ai Biechi Blu… Arte & città era presente e non solo
a Volterra ’73. Ricordo il clima di “immaginazione senza potere”
Attorno alla spinta nascono riviste come che, in, inpiù e modo
(dopo il travaso di direzione da Casabella diviene la rivista della
continuità in avanguardia di massa), altre ospitano volentieri
gli interventi e sperimentazioni come Domus, Marcatré,
Pianeta fresco… In questa parata vanno ricordate le copertine
come vere e proprie vetrine di presenza…
Si aprono anche nuovi panorami per la disciplina degli interni
attraverso il sensibile o sensismo meglio Supersensualism
una revisione del design (contro-design) e della decorazione
(decor azione – a cura Attolini/De Batté ed. Neos 1999).
Tra i testi che registrano gli eventi sono da prendersi in
considerazione i cataloghi di mostre come:
8° Biennale de Paris (‘73)
"Radicals. Architettura e Design 1960-1975. Teoria e
attivita' sperimentale degli anni sessanta",
in Catalogo generale VI mostra internazionale d'architettura,
ed. Biennale di Venezia, 1996
AAVV, Radical Architecture, catalogo mostra , Museum fur
angewandte kunst, Colonia, autunno 2000 ;
“L’architecture radicale: mouvement de la fin des utopies,
in ‘Le Journal des Arts’ n.119/2001 ;
E. PEDRINI, L’architecture radicale, in ‘Art-Jonction.
Le Journal’, n.28/2001
AAVV, Arquitectura Radical, cat. Mostra MUVIM
Valencia, 2001
Questi sommati ai documenti che oggi costituiscono oggetti
rari da collezionismo come i volantini degli UFO da fuori
Biennale , il quadernone di Renato Ranaldi “le paratopiche”,e
il Catalogo peloso della mostra in discoteca a Firenze.
Tutto simboleggia il movimento critico tra arte ed
architettura (tema poi proposto da Gianfranco Bruno &
Vittorio Gregotti con la mostra “immagine per la città” 1972
poi ripresa ultimamente da Germano Celant in Arti &
architettura 2004 sempre a Genova)
Tra il libri significativi:
Architettura Radicale di Paola Navone e Bruno Orlandoni,
documenti di Casabella 1974;
e dopo tre anni compare ad integrazione
Dalla città al cucchiaio – saggi sulle nuove avanguardie
nell’architettura e nel design
di Bruno Orlandoni e Giorgio Vallino
per i tipi di Studio Forma , Torino 1977
che qui segnaliamo come riferimenti indispensabili
assieme a:
“Architecture:action and plan” di Peter Cook, Studi Vista,
Londra 1967
“Education automation” di Buckminster Fuller, ed. Lerici,
Roma 1968
“l’Anarchitetto” di Gianni Pettena , Guaraldi Rimini 1973
“Moderno Postmoderno Millenario” (scritti teorici) di
Andrea Branzi per Studio Forma/Alchymia, Milano 1980;
“Pro memoria” di Ugo La Pietra ed. Kata, 1982;
Architettura Addio, Shakespeare 1 Company, di
Alessandro Mendini, Milano 1981
“C’est pas facile la vie” (racconti raccolti) di Ettore
Sottsass, il melangolo 1987
“…CASUALMENTE UNA LEGGENDA VUOLE CHE IL
NOME ‘RADICALE’ SIA STATO DATO AL MOVIMENTO
DAL CRITICO GERMANO CELANT, CHE IN QUEGLI
STESSI ANNI DEFINISCE COME ‘ARTE POVERA’ LE
TENDENZE PIÙ AVANZATE DELL’ARTE ITALIANA.
CONFLUITA PROGRESSIVAMENTE IN UNA PRATICA
CRITICA O PROFESSIONALE PIÙ MODERATA,
L’AVANGUARDIA RADICALE TROVA PARADOSSALMENTE
UNA SUA REALIZZAZIONE NELLA SUCCESSIVA
PRODUZIONE DI SERIE IN UN CONCETTO NUOVO E
FONDAMENTALE: QUELLO DI DESIGN PRIMARIO O
SOFT, OVVERO LA PROGETTAZIONE DELLE QUALITÀ
PIÙ TRASCURATE DEL PRODOTTO INDUSTRIALE - COME
IL COLORE, LE FINITURE SUPERFICIALI, LE SENSAZIONI
TATTILI E IN GENERALE CERTE QUALITÀ ESTETICHE NON
‘MISURABILI’.”
L’ESISTENZA DELL’AVANGUARDIA ‘RADICALE’ HA LA
SUA CONSACRAZIONE UFFICIALE CON LA FORMAZIONE
NEL 1974 DEL SUPERGRUPPO GLOBAL TOOLS (STRUMENTI
GLOBALI).[P> SCIOLTO SOLAMENTE UN ANNO DOPO,
IL GRUPPO DICHIARA UFFICIALMENTE LA NECESSITÀ
DI TORNARE NELLA PROGETTAZIONE A STRUMENTI PRIMARI,
ALL’IDENTIFICAZIONE TRA NATURA E ARTIFICIO, ALLA
REALIZZAZIONE PERFINO MANUALE DI PICCOLI OGGETTI,
PIÙ VICINI APPUNTO ALL’UTENSILE PRIMITIVO CHE AL
SOFISTICATO PRODOTTO INDUSTRIAL
A seguito il movimento si trasforma, una parte, in Memphis e
Alchimia in un così detto Neomodern Design. Altre parti si
trasformano e dissolvono in altre dimensioni ed altre ancora
rimangono fissati nostalgicamete al “momento storico”.
Ma la rilettura più sottile di questo momento critico riporta
l’attenzione (oggi) agli strumenti di progetto ed alla riflessione
del porsi e disporsi dello spazio
nel tempo mangiatempo.
Dalì osservava “ …gli orologi non sono altro che il camembert
paranoico, critico, tenero stravagante e solitario del tempo e
dello spazio…”
Bruno Orlandoni, Amarcord
Vista la tua temeraria decisione di aprire un blog sull’Archi. Rad. ti mando un piccolo contributo della serie Amarcord partendo da cose avvenute al riguardo in questi giorni, qui a Torino.
Come ti avevo detto, un paio di settimane fa (martedì 5 maggio 2009) hanno inaugurato una piccola mostra di cose radicali di UFO, Archizoom, Pettena e Superstudio alla Galleria Martano e il giorno dopo, alla Facoltà d’Architettura, si è tenuto un incontro dibattito sul tema, presenti Binazzi, Pettena e Frassinelli.
Sono andato ad entrambe le cose e ti relaziono un po’ su cosa ho visto.
Il tutto mi è parso abbastanza deludente, a parte il piacere di rivedere Lapo e il Pettena dopo 35 anni e di rivederli in ottima forma.
Per il resto picche. La mostra è decisamente povera. Lì la colpa è della galleria che sulla cosa evidentemente non ha investito una lira senza aver la più pallida idea di cosa aveva sotto mano: tanto per dire, anche solo la saletta che ho visto un paio di anni fa al Beaubourg, pur con molta meno roba, mi è sembrata molto più ricca ed efficace.
Quanto al dibattito, mah?! Le persone più quadrate e a posto mi sono sembrate proprio Lapo, Pettena e Frassinelli. Tutti gli altri intervenuti, detto fuori dai denti, mi son parsi non sapere bene di cosa stavano parlando. Cercherò di mettere a fuoco un paio di problemi.
Si continua a parlare di fiorentini e basta. Un po’ è anche colpa loro che già quando li frequentavo 35 anni fa pretendevano di spacciarsi come unici e inimitabili. Così facendo però si perde completamente di vista la dimensione reale del fenomeno. All’incontro dell’altro giorno Pettena ha anche cercato un po’ di dirlo, ma con non sufficiente convinzione e con molto poco seguito. I radicali fiorentini sicuramente hanno rappresentato la punta di diamante dell’Archi. Rad. e in Italia sono di certo quelli che l’hanno qualificata nella maniera più vistosa, ma se si dimentica che eventi di quel tipo, più o meno a rimorchio, o più o meno autonomi, avvenivano anche a Milano, Torino o nelle facoltà di architettura occupate, si perde davvero la bussola e non si capisce più niente.
A Torino, come ti avevo raccontato quando eri venuto a trovarmi, già nel 1969, in occasione di Utopia e/o Rivoluzione, avevamo avuto occasione di vedere insieme Archizoom e Archigram, oltre ai vari, Friedman, Jungman (allora membro del gruppo Utopie), Virilio tutto vestito di nero che pontificava come un De Gaulle in sedicesimo (date le differenze di statura), Soleri – che tra l’altro proprio a Torino si era laureato – che sparava cazzate a dritta e manca. De Rossi, promotore del convegno insieme all’Unione Culturale, aveva anche provveduto a fornire una bella contestazione al tutto (usava così, se non c’era contestazione non era abbastanza in), affidata dalla neonata “Assemblea Teatro”, un gruppo di teatro di strada che poi di strada ne ha fatta molta, che aveva praticamente sequestrato i congressisti nell’aula magna della facoltà, al Valentino. Alle congressiste si offrivano mazzi di ortiche e per entrare nella sala del congresso si doveva passare sopra i corpi dei teatranti, coricati per terra a mo’ di “tappeto natura”: Gilardi già allora andava per la maggiore a Torino, ed era amico di Alberto Salza (erano vicini di casa), uno dei fondatori dell’Assemblea Teatro. Da Londra erano arrivati alcuni studenti che avevano piantato le tende (in senso letterale) nel giardino della facoltà, tra la capanna sull’albero costruita dal gruppo dei “Vikinghi” e la vasca dei pesci rossi che chiamavamo “Mao Beach”, dove Sandro Lenite si tuffava in 40 centimetri d’acqua dall’alto del suo metro e novanta e oltre di altezza. Non molto tempo dopo, al massimo un anno, si sarebbe tenuta una memorabile sessione d’esame passata alla storia come “sessione dei palloncini”. Cinquanta persone avrebbero sostenuto l’esame di Composizione architettonica II con tre progetti diversi, che non saprei se definire più sadici o più ironici. Uno dei progetti era un monumento al capitale: ne avevano costruito un modello in scala ridotta e Carlo Mollino, titolare della cattedra di Composizione, era stato invitato ad entrarci tagliando un nastro tricolore in una cerimonia di inaugurazione demenziale. Mollino non sapeva se schiumare di rabbia o se divertirsi. Credo che sotto sotto abbia avuto il sentore, per una volta, di essere superato in avanti da qualcosa che non capiva e quindi non sapeva controllare: di aver trovato degli enfants gatés più gatés di lui.
Un altro progetto era un asilo nido. Diffuso su scala territoriale era costituito di tante cellule collegate da un bambinodotto. Infilavi il bambino nel tubo, schiacciavi un bottone ed un sistema pneumatico risucchiava la creatura portandola fino al suo asilo. Gli esaminandi avevano avvertito della cosa amici e parenti invitando tutti ad intervenire, soprattutto portandosi dietro tutti i bambini piccoli disponibili, ai quali si erano regalate autentiche mongolfiere di palloncini in una baraonda micidiale. Tra i molti altri “esaminandi” spiccavano Franco Audrito, già fondatore dello Studio 65 e che poi avrebbe messo la testa a posto andando a lavorare per gli arabi sul golfo, e Mario Virano, che tutti quanti oggi sentiamo citare nei suoi tentativi – tanto improbi quanto generosi – di far quadrare le questioni valsusine tra TAV e NOTAV.
Più avanti ancora – io stavo già lavorando alla tesi sull’architettura radicale – il solito De Rossi sarebbe riuscito a trascinare a Torino un’intera colonia di londinesi targati Architectural Association. Era arrivato Boyarski, allora direttore dell’A.A., portandosi dietro Tschumi, allora docente, con Nigel Coates e Jenny Lowe, allora studenti. Da Lucca, dove stava conducendo un seminario residenziale A.A. in una villa rinascimentale, era arrivato Paul Oliver con altri studenti. E poi altri ancora. E ti cito solo alcune delle cose che ricordo, evitando per carità di patria quelle di cui ero stato protagonista io con i compagni del gruppo di cui facevo parte (che si chiamava M333).
Così a Firenze non si può dimenticare il ruolo di appoggio svolto da Savioli e da Ricci. Come non si possono dimenticare i continui viaggi a Londra o – per chi poteva – in America.
La sindrome politica che colpì quasi tutti come un’epidemia, purtroppo, ha poi cancellato tutto questo versante di quegli anni, che invece fu importantissimo e bellissimo. A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se fossimo stati capaci di insistere di più su questo aspetto culturale “floreale” del ’68, contrastando il cattocomunismo dilagante dei marxisti/leninisti alla “servire il pollo”. Saremmo riusciti ad evitare o almeno a ridurre le derive degli anni di piombo? Saremmo riusciti ad evitare la conquista sistematica di tutte le facoltà di architettura da parte della cultura da condominio dei Gabetti e dei loro innumerevoli cloni? Probabilmente no. Quello che è certo è che oggi la situazione della cultura universitaria italiana mi pare veramente catatonica. Francamente arretrata rispetto ad allora. Che le punte dell’architettura mondiale di questi ultimi vent’anni vanno tutte cercate all’estero. Che se si vuole un quadro veramente significativo e completo di quegli anni bisogna cercarlo in cataloghi francesi come “Les années pop” del Beaubourg, o inglesi come “Summero of love” della Tate Liverpool.
All’incontro dell’altro giorno Pettena ha avuto un momento di straordinaria lucidità quando rivolgendosi agli studenti presenti in sala ha fatto osservare come la vera facoltà di architettura dovrebbero essere loro, non i docenti. 35 anni fa la tesi sull’architettura radicale io e Paola dovemmo praticamente imporla alla facoltà: da studenti. Può sembrare retorico ma il diritto di imporla ce lo eravamo conquistato a spese nostre con le lotte degli anni precedenti, consapevoli proprio del fatto che “noi eravamo la facoltà di architettura”. Allora trovammo uno spirito libero come Mario Federico Roggero che accettò la nostra idea organizzandoci una sorta di coorte di supporto in cui entravano da Carlo Olmo a Maurizio Vogliazzo, da De Rossi ad Elena Tamagno, da Giammarco a Tosoni. Allora tutti assistenti, a vari titoli coinvolti nei vari passaggi londinesi di cui la facoltà era teatro. Già solo tre o quattro anni dopo un’operazione di questo tipo sarebbe stata probabilmente impossibile.
Ultima notazione poi chiudo. Nell’incontro dell’altro giorno tutti – un poco meno i fiorentini – hanno fatto un gran parlare di design. E il design di qua, e il design di là, e il design radicale ecc. ecc.
Ora quando nell’inverno tra il 1970 e il 1971 con Paola cominciammo a lavorare alla tesi, ce ne andammo a Firenze e nel giro di una quindicina di giorni incontrammo Gilberto Corretti degli Archizoom, Adolfo Natalini dietro alla sua scrivania tutta quadrettata, Gianni Pettena, poi Titti Maschietto e Lapo Binazzi nel chiostro della facoltà d’architettura dove qualche anno prima gli UFO avevano sostenuto la loro gloriosa tesi di Laurea, e ancora Fabrizio Fiumi in quella bolgia assordante che era lo Space Electronic. Ebbene per quanto mi ricordo non uno di loro pronunciò (mai) la parola design. Neppure per sbaglio. E così fu per un certo numero di altre occasioni successive. Tutti quanti, noi con loro, parlammo sempre e solo di “architettura”. Del resto, a ben pensarci, nel 1970 nelle facoltà di architettura italiana la disciplina “industrial design” neppure esisteva. E anche Italy the new domestic landscape è solo della tarda primavera del 1972. Certo si immaginava ben che quello era uno dei possibili sbocchi del discorso e la cosa interessava a dei giovani che da studenti diventavano professionisti e dovevano pensare a sbarcare il lunario anche sul piano economico. Ma perché il design diventi un vero e proprio leit motiv dei radicali – a questo punto davvero quasi solo più dei fiorentini – bisogna arrivare al momento in cui Branzi entra al centro progetti della Montefibre e alla fondazione della Global Tools. A ben guardare il design è stato la fortuna per Branzi e la tomba per l’architettura radicale nel suo insieme. Molti hanno detto – e in parte è vero – che il libro mio e di Paola nel 1974 di fatto era già un epitaffio. L’architettura radicale è tutta prima ed è – piaccia o non piaccia – architettura, non design. Come hanno capito – molto meglio degli italiani – gli austriaci, gli inglesi, e ora anche i francesi.
Dopo non mi pare sia più successo granché dalle nostre parti. E difatti i radicali, a partire dallo stesso Branzi, sono chiamati in giro a raccontare quello che avevano fatto allora. Non quello che hanno fatto dopo o che stanno facendo adesso.
Rimando eventuali altri scavi nella memoria ad altre prossime puntate.
Ciao ciao. Bruno Orlandoni
sabato 16 maggio 2009
Haus-Rucker Co, Yellow Heart
Yellow Heart, Vienna 1968
The idea that a concentrated experience of space could offer a direct approach to changes in consciousness led to the construction of a pneumatic space capsule, called the 'Yellow Heart'. Through a lock made of three air rings one arrived at a transparent plastic mattress. Offering just enough space for two people it projected into the centre of a spherical space that was made up of soft, air-filled chambers. Lying there one could perceive that the air-filled "pillows", whose swelling sides almost touched one, slowly withdrew, that is to say the surrounding space appeared to expand, finally forming a translucent sphere and then, in a reverse motion, flowed out again. Large dots arranged in a grid on the outer and inner surfaces of the air-shells changed in rhythmic waves from milky patches to a clear pattern. The space pulsated at extended intervals.
venerdì 15 maggio 2009
Architettura radicale
Gruppo Strum, fotoromanzi realizzati in occasione della mostra “Italy: the new domestic landscape” (1972)
Il rifiuto del movimento moderno, verificatosi già a partire dagli anni cinquanta con la nascita del New Brutalism in Inghilterra ad opera di Alison e Peter Smithson e del Team X, pone la questione dello stile che viene combattuto dalle giovani generazioni. Firenze insieme a Torino sarà il fulcro della contestazione al sistema, e vedrà nella città fiorentina l’affermazione della sperimentazione degli architetti, solo successivamente definiti radicali dal critico Germano Celant, sia dentro che fuori l’università. Il clima internazionale favorevole alla contestazione del modello di società dominante proponendone uno alternativo si sviluppa anche in Francia, Inghilterra e USA (qui nel ’64 si aprono le contestazioni nel campus di Berkeley in California). La politicizzazione eccessiva in Francia non determina l’esplosione di gruppi e singoli architetti, ad eccezione di Utopie Group (l’unico gruppo che compie azioni e performance nello spazio pubblico), mentre a Firenze nascono i collettivi Archizoom e Superstudio, Ufo, 9999, Gianni Pettena, Zziggurat, a Milano Ugo La Pietra e a Torino Gruppo Strum (Gruppo Strumentale all’architettura).
Dopo quarant’anni Firenze dialoga con il passato scomodo, ospitando nei sotterranei del brunelleschiano Ospedale degl’Innocenti, la mostra Archizoom associati 1966-1974: dall’onda pop alla superficie neutra, risultato della ricerca dello storico dell’architettura Roberto Gargiani, docente all’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, realizzata con la collaborazione dell’Ecole, del CSAC di Parma e dell’Assessorato all’urbanistica di Firenze. Numerosi sono stati i tentativi di organizzare mostre sull’architettura radicale andati miseramente a vuoto, va dato atto all’amministrazione comunale di aver sostenuto questa importante mostra che definisce, attraverso un percorso cronologico e non critico, la storia di Archizoom.
“Nel 1966 quando ci siamo laureati io, Gilberto Corretti, Paolo Deganello e Massimo Morozzi abbiamo fondato Archizoom-afferma Andrea Branzi- successivamente si sono uniti Lucia e Dario Bartolini. In Italia c’era un grande rinnovamento generale della cultura e della politica e constatavamo che il mondo del progetto era rimasto molto indietro, così abbiamo iniziato a muoverci. Noi non abbiamo mai condiviso l’idea che la politica fosse una categoria di riferimento, era la politica che doveva adeguarsi al cambiamento del mondo. Claudio Greppi, uno dei primi teorici del pensiero marxiano-continua Branzi- ha molto influenzato il nostro operare così come la musica e la pop art che l’abbiamo interpretata in modo critico proprio a partire da quel realismo duro che leggevamo dietro essa; un fenomeno che non era giocoso, ma duro documento della realtà.” Archizoom con i coetanei Superstudio realizza la I mostra di Superarchitettura nel ’66 nella Galleria Jolly 2 a Pistoia, riproposta al salone del Mobile lo scorso anno alla Galleria Sozzani ricostruita dal Centro Studi Poltronova,l’azienda produttrice di mobili di design fondata da Sergio Camilli nel ‘57 sotto la direzione di Ettore Sottsass jr. In questa occasione vengono presentati gli oggetti di design prodotti da Archizoom come la superonda, esposta anche nella mostra fiorentina,un divano sinuoso a forma di onda di colore rosso che ne enfatizza la sua appartenenza alla cultura pop.
9999 (Giorgio Birelli, Carlo Caldini, Fabrizio Fiumi, Paolo Galli), proiezioni sul Ponte Vecchio a Firenze, 1968
“Sul piano ideologico si interpreta la cultura pop in chiave provocatoria risolvendo la provocazione su di un piano puramente teorico-come scrivono Bruno Orlandoni e Paola Navone, in Architettura Radicale, l’unico e finora insuperato testo critico sulle neo-avanguardie radicali, pubblicato da Alessandro Mendini nei Documenti di Casabella nel ’74-la superarchitettura-affermano Archizoom e Superstudio- è l’architettura della superproduzione, del superconsumo, della superinduzione al consumo, del supermarket, del superman, e della benzina super. La superarchitettura accetta la logica della produzione e del consumo e vi esercita una azione demistificante”. In queste affermazioni si può leggere anche l’origine del pensiero di Archizoom rivolto al presente e non all’utopia. E’ il clima culturale che determina la nascita di Archizoom e dei coetanei Superstudio che “nasce con l’alluvione di Firenze- afferma Cristiano Toraldo di Francia del Superstudio_le foto dell’alluvione ci restituiscono un’immagine della città differente immersa in un fluido melmoso, una situazione dinamica che separava la scatola architettonica dalla sua base…Perchè a Firenze la nascita dei radicali? Firenze è anche la patria di Michelangelo e del manierismo, ossia di una rivolta contro regole fisse e stabilite, e l’antirinascimento è l’altra faccia della città. I preti operai, il sindaco La Pira, i quaderni rossi di Mario Tronti hanno influenzato notevolmente il nostro pensiero”.
Nel frattempo le agitazioni studentesche iniziano a smuovere la situazione sul fronte docenti, è così che Leonardo Savioli, insegna arredamento e architettura degli interni mentre Leonardo Ricci elementi di composizione. I due architetti fiorentini saranno dei formidabili apripista verso la sperimentazione che, sostenuti dai giovani studenti tra i quali Paolo Deganello, Carlo Chiappi, Paolo Marliani, Andrea Branzi, Gilberto Corretti e Cristiano Toraldo di Francia (Superstudio), cambieranno la didattica e la ricerca a partire dall’esercitazione condotta da Savioli sul tema degli spazi per il divertimento come i Pipers nell’anno 1966-67. Altre figure sono importanti nella formazione dei giovani gruppi radicali, l’artista e musicista Giuseppe Chiari (Fluxus), Umberto Eco, docente di semiologia, gli storici dell’architettura Leonardo Benevolo e Giovanni Koenig, gli architetti Ludovico Quaroni e Adalberto Libera tutti docenti alla facoltà di architettura di Firenze.
UFO, Urboeffimero 1968
L’importanza di figure come Quaroni e Libera sono state evidenziate da Paolo Deganello durante la presentazione della mostra di Archizoom che, nonostante la buona volontà del curatore Gargiani, non appare convincente soprattutto per la totale assenza del contesto politico e culturale degli anni sessanta, errore di impostazione metodologica, necessario alla comprensione del fenomeno radicale.
Radex, eliocopie, plastici, poltrone e vestiti provenienti in gran parte dal Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’università di Parma, fondato da Arturo Carlo Quintavalle, rappresentano il corpus dell’esposizione insieme agli straordinari fotomontaggi della No-Stop City. “La realtà era costituita da un universo di merci- prosegue Branzi -dove le qualità tradizionali, antropologiche e umanistiche del progetto, vengono meno e la No-stop city nasce da una società alienata in cui guardiamo il mondo così com’è non come dovrebbe essere. Il nostro non è mai stato un movimento utopico ma abbiamo sempre teorizzato un’utopia conoscitiva”.
Ugo La Pietra, Sistema disequilibrante, Campo urbano, 1968
Questa preveggenza si è dimostrata veritiera se guardiamo le metropoli contemporanee dove il caos regola lo sviluppo urbano, quarant’anni fa gli Archizoom avevano individuato i germi di un virus che si è espanso a livello globale. Il pensiero radicale, osteggiato dal contesto fiorentino accademico, non trova altra via di fuga che il design, allora inesplorato, e particolari coincidenze determinarono la visibilità internazionale dei gruppi. Ruolo centrale venne svolto dalla rivista Casabella, soprattutto durante la direzione Mendini, in cui Branzi scriveva le radical notes, e molti architetti e designer radicali ebbero l’occasione di pubblicare i progetti aprendo così una finestra sul movimento che li metterà in contatto con gli inglesi Archigram, il gruppo degli austriaci Hans Hollein, Coop Himmelblau, Walter Pichler, Haus Rucker Co. Proprio l’attuale direttore di Casabella, Francesco Dal Co, responsabile della collana Electa architettura, la pubblicazione della ricerca svolta da Gargiani su Archizoom.
Ciò dimostra che forse il vento è cambiato in quanto l’architettura radicale non ha avuto molte fortune critiche, completamente assente dai testi di storia dell’architettura, perchè scomoda, solo negli ultimi dieci anni è ritornata protagonista. Sono stati i francesi con le acquisizioni del Centre Pompidou delle opere (disegni e oggetti) di Archizoom, Superstudio, UFO, Strum, Pettena, 9999 e per il lavoro svolto da Marie Ange Brayer al Frac d’Orleans che ha promosso iniziative culturali (mostre e conferenze) sui protagonisti dell’architettura radicale, nel valorizzare l’architettura delle neo-avanguardie per troppo tempo dimenticata. Anche se, la critica che si può sollevare all’operato francese è una certa superficialità nell’evitare di contestualizzare, dal punto di vista sociale e politico, l’intera esperienza radicale; ciò determina un clamoroso errore storiografico, così come la verifica delle affermazioni dei singoli protagonisti che un curatore/storico deve sempre fare per avere un quadro preciso della situazione oggetto di studio.
Superstudio, Monumento continuo 1969
Ancora una volta, però, è doveroso sottolineare l’assenza delle nostre istituzioni nella valorizzazione dei radicali, nonostante le fanfare mediatiche del Maxxi, una sensibilità che avremo voluto dalla Direzione Generale per la Tutela dell’architettura, del paesaggio e dell’arte contemporanee del Ministero dei Beni Culturali e che purtroppo non c’è stata.
Ugo La Pietra, Sistema disequilibrante, Il commutatore, 1967-70
Radicali un fenomeno esteso
Per comprendere il complesso fenomeno dell’architettura radicale in Italia occorre ribadire che Archizoom non agivano in solitaria, ma insieme a Superstudio, Ufo, 9999, Gianni Pettena, Zzigguratt, Remo Buti con i quali hanno condiviso un percorso comune. La forza dell’architettura radicale è stata l’unione dei gruppi separando chi, come Archizoom e Superstudio operava sul piano teorico e Ufo, 9999, Pettena che compivano azioni nello spazio pubblico: gli urboeffimeri di Ufo (strutture gonfiabili che venivano usate come strumenti di lotta contro la polizia e dove vi era una partecipazione attiva dei cittadini), le proiezioni sul Ponte Vecchio dei 9999 (il cui obiettivo è definire comportamenti nuovi e una diversa fruizione, nello specifico, del monumento), le performances di Pettena con l’inserimento di parole-oggetto negli spazi urbani. Il tutto mediato e filtrato dalla cultura dell’happening inventato da Allan Kaprov, dagli environmentalist americani, dalle culture dell’avanguardia, futurista e dada, fino agli artisti cinetici Gruppo T, Colombo, Boriani e De Vecchi. Insomma dalla grande sperimentazione attiva negli anni sessanta del Novecento, che ha attraversato le arti rompendo i confini disciplinari, la de-strutturazione del linguaggio, l’attraversamento disciplinare teorizzato e applicato da Ugo La Pietra a Milano con il Sistema disequilibrante (con le riviste In e In più da lui fondate nei primi anni settanta), i fotoromanzi del gruppo Strum sulla lotta per la casa; isolato dal gruppo fiorentino ma altrettanto interessante l’opera del designer Riccardo Dalisi e i suoi laboratori con i bambini nel rione Traiano a Napoli ma siamo già negli anni settanta.
Sono quattro i momenti importanti per l’architettura radicale. La mostra-incontro “Utopia e/o rivoluzione” organizzata a Torino nel ’68 da un gruppo di assistenti alla facoltà di architettura, denominatosi U e/o R (Pietro Derossi,Giorgio Ceretti e Carlo Gianmarco, Aimaro D’Isola, Adriana Ferroni, Elena Tamagno, Graziella Derossi), mettendo in relazione i gruppi italiani che si contrapponevano al sistema e lottavano contro il modello consumistico, i radicali, con i protagonisti del dibattito dentro e fuori l’architettura. Furono invitati Paul Virilio e Claude Parent (Architecture Principe), Paolo Soleri, Archigram, Yona Friedman, Utopie Group, Archizoom, Noam Chomsky, James Agee, Lara Vinca Masini, Achille Bonito Oliva (in occasione dei quarant’anni dal convegno, la rivista digitale Archphoto.it e Ordine degli architetti di Torino organizzano una giornata dedicata a Utopia e/o rivoluzione entro la fine dell’anno). Il secondo importante evento fu nel 1972, quando Emilio Ambasz cura al Moma la mostra “Italy: the new domestic landscape” dove tutti gli architetti radicali vengono invitati, è la consacrazione internazionale proprio quando il movimento sta per esaurire le sue energie.
Marcatre 50/55, numero monografico dedicato al convegno Utopia e/o rivoluzione
E’ infatti nel ’73 con la copertina di Casabella dedicata alla Global Tools, “ un sistema di laboratori a Firenze per la propagazione dell’uso di materie e tecniche naturali e relativi comportamenti” che finisce l’esperienza radicale. Nel novembre dello stesso anno ABO organizza a Roma, nel parcheggio di Villa Borghese realizzato da Luigi Moretti, “Contemporanea” dove invita Archizoom, Ufo, Pettena, Strum, La Pietra, Ettore Sottsass Jr; un’altro gigante che ci ha lasciato lo scorso anno e che ha avuto un ruolo importantissimo nella diffusione del pensiero radicale, con Fernanda Pivano e la rivista Pianeta Fresco.
L’articolo, uscito per il quotidiano Il Manifesto in una versione diversa, qui, invece, nella versione completa è dedicato alla memoria di Paolo Galli del gruppo 9999, prematuramente scomparso. Archphoto produrrà entro l'estate del 2009 il dvd sulle interviste video
agli architetti radicali, chi è interessato puo inviare una mail a info@archphoto.it